lunedì 11 ottobre 2021

Dente: "Io tra di noi" (2011)

L'11 ottobre del 2011 usciva "Io tra di noi", quarto album del cantautore emiliano Dente. Cresciuti con il successo i valori di produzione e quello dei sessionmen e ospiti coinvolti, Dente non perde in ispirazione, creando un ottimo esempio di ciò che l’indie italiano era in grado di generare nei suoi momenti migliori.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/5vw4p8cv)

Quello a cavallo tra gli anni ’00 e il decennio seguente è stata l’età dell’oro per Giuseppe Peveri in arte Dente, chitarrista cantautore di Fidenza che giungeva, nel 2011, al suo quarto appuntamento con l’LP dopo un percorso di crescita costante: dall’esordio über-indie di “Anice in bocca”, prodotto con mezzi di fortuna per il prezzo di un piatto di lenticchie, passando per l’artigianato naïf di “Non c’è due senza te” e quello più pettinato di “L’amore non è bello” (scritto con già in tasca un contratto con la non piccola etichetta Ghost Records), il production value di ogni disco è cresciuto di un ordine di grandezza ad ogni passaggio.

Nel momento in cui si trova al lavoro per questo “Io tra di noi”, Dente ha a disposizione una band (batteria - Gianluca Gambini, basso - Nicola Faimali, e tastiera - Andrea Cipelli, oltre a lui) e abbastanza soldi per avere gente del calibro di Tommaso Colliva alla produzione, Enrico Gabrielli e Massimo Martellota agli arrangiamenti, e turnisti come Rodrigo D’Erasmo (tra gli altri). Ad essere rimasto immutato, rispetto agli esordi, è il valore del songwriting, brillante sia nelle melodie (delicate sempre, ruffiane al punto giusto di solito), che nei testi: infiorettati di giochi di parole, trucchetti enigmistici e immagini surreali, intrisi di quel romanticismo sfacciato e “ ironicamente ingenuo” cui Dente aveva già abituato, a quel punto, il suo pubblico.

Il disco fa buon uso delle risorse e dei talenti messi insieme per produrlo: gli stili evocati vanno dalla delicatezza acustica del prologo “Due volte niente”, del filler “Puntino sulla i”, e del breve gioiellino “Cuore di pietra”; ai ricchi arrangiamenti di archi del Renato-Zero-esco power-pop di “Giudizio universatile”, ai fiati di “Pensiero associativo”, alle campane tubulari della meravigliosa, malinconica “Io sì”. Nel mezzo, ci sono il soft rock di “Piccolo destino ridicolo” e la ballad orchestrale “Saldàti”, i cambi di marcia di “Casa tua” e il cantautorato diciamo classico di “Da Varese a quel paese” e “La settimana enigmatica”. Soprattutto, c’è l’omaggio ad “Anima latina” nei sette minuti del samba-prog-pop di “Rette parallele” che sigilla il finale del disco, a rimarcare come la ricca produzione non abbia magagne da nascondere, bensì possa dedicarsi a sottolineare quanto di buono fatto da Dente in fase di scrittura.

Certo, chi è meno avvezzo al “lore” dentesco potrebbe ritrovarsi a chiedere chi diavolo sia Irene, o magari essere irritato dalla limitatezza dei temi trattati (o meglio, il tema: solo quello romantico-sentimentale, senza eccezioni); tuttavia le situazioni e le emozioni evocate sono universali (“Rette parallele”, “Piccolo destino ridicolo”), o almeno universalmente comprensibili e riconoscibili (“Da Varese a quel paese”, “Io sì”), e i testi contengono abbastanza giochi e rimandi da garantire un sufficiente grado di empatia verso quello che è, secondo chi scrive, un ottimo esempio di ciò che l’indie italiano era (?) in grado di generare nei suoi momenti migliori.

- Spartaco Ughi

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