sabato 14 ottobre 2017

David Bowie: "Heroes" (1977)

(l'album completo potete trovarlo qui:https://www.youtube.com/watch?v=LBeD_9L08OU, qui: https://www.youtube.com/playlist?list=PL8UfM7ycll7Ta4X-pOCehlbJHI0LPuuYr, e qui:http://www.deezer.com/album/342958)



In un’altra recensione abbiamo scritto che l’abbondanza di grandi dischi, sia per qualità che per carica innovativa, provenienti dalla seconda metà degli anni ’70, rende alcuni di essi più oscuri di altri, in qualche modo ingiustamente cannibalizzati dalla concorrenza. Certo, questo non è il caso di “Heroes”, secondo capitolo della trilogia berlinese di Bowie (iniziata alla grande con “Low” nel ’76 e conclusa in leggero calo con “Lodger” due anni dopo), nonché domicilio di una delle canzoni più belle, iconiche e famose della storia del Rock (che è quella che dà il titolo all’album ovviamente,https://www.youtube.com/watch?v=Kv1g4jUWZ4w).



Un disco che, se siete qui a leggere una pagina sul rock, certamente avete sentito nominare e probabilmente avete anche ascoltato ALMENO una volta nella vostra vita. Quindi non vi spiegherò quanto la produzione di Eno aggiunga strati di impalpabile coolness alle solite melodie oblique di Bowie, quanto la chitarra di Fripp sia in un tale contesto il paradigma di quello che un grande musicista deve fare, ovvero prendersi la scena quando richiesto (per esempio nell’apertura “Beauty and the beast”, https://www.youtube.com/watch?v=l4fFL4uU_RE, in cui gioca con le melodie controintuitive che lo hanno reso famoso) e invece imprimere un marchio indelebile sullo sfondo, quando Bowie e Eno si prendono la luce dei riflettori (“Heroes”; “Sons of the silent age”,https://www.youtube.com/watch?v=NnOhBykB-z4).

Non sprecherò più spazio del necessario in fatti arcinoti: come in tutti gli episodi della trilogia berlinese, il lato A del disco è composto di canzoni e il lato B è composto da strumentali; certo, su questi ultimi si potrebbe perlomeno accennare alla varietà di atmosfere create, tra momenti allegri e ballabili come “V2-Schneider”, la tensione da thriller di “Sense of doubt”, la beatitudine di “Moss garden”, il gelo distopico di “Neukoln”: con Brian Eno in cabina di regia, la musica ambient non può essere lontana. Un po’ a sorpresa, la carrellata strumentale del lato B si chiude in questo caso con una canzone vera e propria, la ballabile “The secret life of Arabia” (https://www.youtube.com/watch?v=TI_aBgcLHZE), cui molte delle canzoni del successivo “Lodger” assomiglieranno. La versione rimasterizzata, uscita nello scorso decennio, contiene anche la bizzarra “Abdulmajid” (https://www.youtube.com/watch?v=fE2JgBziqr0), che assomiglierebbe a una canzone dei Radiohead del periodo Kid A/ Amnesiac, se non fosse che la melodia tradisce la sua origine Bowie-ana a più riprese.

Se qualcosa di sensato rimane da dire, su questo disco, si tratta certamente di una digressione sull’eredità di un LP di tale portata. Musicalmente, “Heroes” e la trilogia rappresentano una pietra miliare inimitabile, generatrice di innumerevoli epigoni (“Gentleman take polaroids” dei Japan è più realista del re, per dire un disco anche bello che senza “Heroes” non potrebbe semplicemente esistere) e discepoli (lo sperimentalismo dei Tuxedomoon e le atmosfere dei Depeche Mode sono figli di “Heroes”, e infatti il provino di Dave Gahan per entrare nei DM sarà una performance della title-track). A certificare ulteriormente la portata di quest’opera si aggiunge l’iconografia: la copertina col Bowie “smilzo duca bianco” è immediatamente riconoscibile, e rappresenta uno dei più ovvii santini del rock, tanto da essere utilizzata di nuovo da Bowie (previa affissione di un post-it su di essa) come copertina di “The next day” nel 2013.

Sembra incredibile che generazioni di persone, nate dieci o persino venti anni dopo l’uscita di questo disco lo ascoltino, e lo amino, ancora al giorno d’oggi. E invece è la credibilissima realtà di uno dei capolavori di uno degli artisti più importanti che la musica del ‘900 abbia conosciuto.

- Spartaco Ughi

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