sabato 16 settembre 2017

Portishead: "Portishead" (1997)

Esce il 16 settemebre del 1997 "Portishead", secondo album omonimo della formazione trip hop britannica.



I Portishead, con il loro esordio (“Dummy”), avevano dato corpo in maniera sensazionale a delle pulsioni che aleggiavano nell’aria e che attendevano semplicemente di essere incarnate ed espresse pienamente.


Una ricetta assolutamente perfetta, sulla carta; ma da eseguire con chirurgica precisione per risultare centrata ed ammaliante.
Serviva talento per catturare con maestria le suggestioni relative alla commistione tra elettronica, jazz, le suggestioni di polverose soundtrack, il gusto per il campionamento cesellato ed il remix. Serviva questo e serviva soprattutto Beth Gibbons: serviva la sua voce roca, modulata dalle sigarette e dal velluto, una miracolosa chiave di volta che rende perfettamente equilibrato il cocktail; elevandolo, anzi, a nettare di categoria assoluta.

Sontuoso, si diceva, l’esordio: rischioso quindi il secondo passo, almeno in teoria.
La pratica, ed eccoci al punto, ci racconta di “Portishead” (2007): disco molto atteso e molto giudicato.
Da dove si (ri)parte? Sostanzialmente da dove si era rimasti, almeno per quanto riguarda la qualità, l’ispirazione di base e le linee guida generali.
Avrà, lo diciamo subito, un minore impatto mediatico rispetto al predecessore: ma non per suoi demeriti. Meno impatto, forse, meno novità in superficie. Ma la tessitura complessiva resta di estrema complessità e ricchezza: migliorata, anzi.
“Cowboys” graffia subito, con scratch e tintinnii di chitarra. La Gibbons si cala subito nei panni della tormentata dark lady; il suo canto e i toni complessivi dei brani sono centratissimi su un melodramma di vinile, alcool e tabacco. Dalla patina glamour colano sofferenze (“Only you”, ad esempio); la memorabile “Undenied” - cardine del disco - mostra esattamente cosa può volere dire mettersi a nudo nella propria anima e nelle proprie dipendenze.

“Half Day Closing” è perfetta colonna sonora di giorni brillantemente scuri; “Humming” è il pezzo di maggiore complessità e stratificazione, ma anche di maggiore appeal; in “Mourning Air” e “Seven Months” la voce della Gibbons è strumento di delizia assoluta.

Tutto il disco è - in sintesi - scuro, avvolgente, ammaliante. Come un distillato di qualità eccelsa, come un capo di abbigliamento su misura e morbidamente accogliente.

Con spire e tentacoli, con graffi e morsi, certo: questo va detto. Non è un confort da poltrona serale e da conferme tranquillizzanti quello che si cerca in queste tracce. Sono torch-song di gran classe, aneliti di grande ispirazione quelli consegnati in queste canzoni.
E noi non possiamo fare altro che accoglierli e farli assolutamente, e preziosamente, nostri.

- il Compagno Folagra

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