venerdì 15 settembre 2017

Lucio Dalla: "Come è profondo il mare" (1977)

In questo settembre piovoso si festeggiano i 40 anni di uno dei migliori dischi del cantautorato italiano del secondo dopoguerra. Stiamo parlando di "Come è profondo il mare" di Lucio Dalla, il primo disco composto interamente - liriche e musiche - dal cantautore bolognese, una volta terminata (male) la sua collaborazione col poeta Roberto Roversi.

Questo è un disco che non può mancare nella collezione di chiunque voglia conoscere un poco la musica italiana, ed è probabilmente il migliore dell'intera carriera di Dalla.



(qui per l'album completo: https://www.youtube.com/playlist?list=PLfYUcenVtXMYpFoOvj--Gy6uOnVB7W53U)

Impazza il dibattito su quale sia il migliore disco di Lucio Dalla, ma non ci sono molti dubbi su quale sia il periodo d'oro del cantautore bolognese: si può scegliere fra "Anidride Solforosa" (1975), "Automobili" (1976, con "Nuvolari" e "Il motore del duemila"), "Lucio Dalla" (1979, con "L'ultima luna", "Anna e Marco", "L'anno che verrà") oppure questo "Come è profondo il mare" (1977). I dischi sono poi fra loro sufficientemente diversi da evitare l'effetto ripetitivo che spesso si avverte quando la poetica musicale e lirica scelta ha un arco di varietà relativamente limitato (il dislivello si avvertirà, all'inizio lievemente, a partire da "Dalla", pur buon disco del 1980).

Il disco ha almeno un classico ormai immortale della canzone italiana ("Come è profondo il mare", appunto) e altri tre pezzi che hanno fatto la storia ("Il cucciolo Alfredo", "Disperato erotico stomp" e "Quale allegria") e passano più o meno regolarmente per radio, ma non vanno dimenticati anche i pezzi cosiddetti minori, che di minore non hanno proprio niente.

"Come è profondo il mare" segna il distacco definitivo fra il poeta comunista Roberto Roversi e Lucio Dalla. I due hanno litigato in occasione delle registrazioni di "Automobili" l'anno precedente, quando Dalla si piegò ai dettami della casa discografica che gli fece scartare i brani più violenti e politicizzati. Dalla fa però così il balzo definitivo verso la maturità: è lui infatti a scrivere tutti i testi del nuovo disco, mostrando di avere imparato molto bene dal maestro e collaboratore, pur se tralasciando la politica in una Italia in cui il conflitto politico e il terrorismo stanno raggiungendo livelli parossistici, spostandosi invece con un occhio indagatore, curioso e libero verso il tema dell'individuo e delle sue difficoltà in una società alienante e oppressiva, con un occhio di simpatia e umanità rivolto agli ultimi e agli oppressi.

Il tema domina ad esempio il pezzo che dà il titolo all'album, un canto di indipendenza e senso di solitudine ("siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte per paura degli automobilisti, dei linotipisti, siamo i gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri e non abbiamo da mangiare") che si muove sui percorsi lirici, surrealisti e svagati che mostrano la differenza fra la rabbia dell'era Dalla-Roversi e un modo più obliquo e indiretto di lanciare il proprio messaggio.

Il tono musicale della canzone (con la memorabile linea di apertura di theremin e fischio e con il basso di Paolo Donnarumma in primo piano) non è né rabbioso né addolorato, mentre Dalla declama un testo che elenca ingiustizie e soprusi quasi buttandolo lì con scarsa attenzione, anche quando dice cose strane e terribili ("è chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce, anzi è un pesce e come pesce è difficile da bloccare perché lo protegge il mare [...] certo chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche [...] così stanno bruciando il mare, così stanno uccidendo il mare, così stanno piegando il mare").

Forse questa canzone è il vertice assoluto dell'opera di Lucio Dalla e uno dei momenti più alti della canzone italiana del secondo Novecento.

I brani, tutti di altissimo livello, si susseguono senza soluzione di continuità: "Treno a vela" è una fiaba surreale che racconta della disperata epopea di un padre meridionale accompagnato in una città del nord dal figlioletto, forse per cercare lavoro, caratterizzata da una leggera malinconia che sfiora la disperazione; "Il cucciolo Alfredo", un bellissimo, commovente blues in mid-tempo, rivendica il desiderio di uscire dalle convenzioni, dal grigiore della vita quotidiana, dal politicamente corretto ("se la sua è cattiveria io la prendo per mano, ce ne andremo lontano") e vede Dalla impegnato in una strepitosa prova vocale.

Il lato A si conclude con "Corso Buenos Aires", storia di una catena di incidenti che tempesta la via centrale di Milano che ci mostra una città ossessionata dal lavoro in una Italia paranoica e spaventata dal terrorismo e dalla criminalità e ha come involontari protagonisti l'uomo, il bambino e il cane di "Treno a vela". Altra prova magnifica di Dalla alla voce (con cori alla "Nuvolari" delle Baba Yaga) su un tappeto ritmico tempestoso e incalzante tessuto dai futuri Stadio Marco Nanni (basso) e Giovanni Pezzoli (batteria).

Giriamo lato e il disco non si abbassa di livello neanche un pochino: prima di tutto incontriamo "Disperato Erotico Stomp", uno dei pezzi più celebri dell'artista bolognese anche grazie al campionamento che ne fecero gli Articolo 31 in uno dei loro brani più riusciti, "L'impresa eccezionale" (1996); si tratta di un pezzo ritmato con fiati di influenza quasi reggae e che narra un'altra delle storie assurde di Dalla, stavolta autobiografica. Continuiamo con "Quale allegria", un pezzo di una malinconia talmente profonda e scoraggiante da insinuarsi nelle ossa come un inverno freddo, dotato di tastiere meravigliose e di un grande crescendo che porta al pazzesco ritornello e che per un momento mostra forse il vero volto di Lucio Dalla ("quale allegria cambiar faccia cento volte per far finta di essere un bambino, con un sorriso ospitale ridere cantare e far casino, insomma far finta che sia sempre un carnevale" [...] "su un palco illuminato fare un inchino a quelli che ti son davanti e sono in tanti e ti battono le mani senza allegria"). Si tratta anche di una sorta di guida che mostra la via a "L'anno che verrà", il massimo successo della carriera di Dalla (1979).

L'album termina con due brani immeritatamente trascurati, la struggente "...e non andar più via" e la ballata del mare salato di "Barcarola", che riporta Dalla al tema caro di Ulisse e del ritorno dell'eroe, naturalmente antieroico e sfigato ("tutta la notte e un altro giorno su sto legno tra una puzza di piedi come un idiota a guardarmi intorno") come si confa alla poetica del cantautore bolognese.

Per concludere segnaliamo, oltre ai musicisti già citati, anche l'amico Ron alle tastiere e alle chitarrre ritmiche, Jimmy Villotti e Luciano Ciccaglioni alle chitarre soliste; alle tastiere il grande Alessandro Centofanti, vero re prezzemolo del cantautorato italiano, e Fabio Liberatori, autore di tantissime musche per Carlo Verdone; Gianni Oddi e Gaetano Zoccanali ai fiati e naturalmente Dalla stesso a tastiere sax e clarino.

Verranno ancora canzoni meravigliose e dischi di ottimo livello, ma questo capolavoro di album, a riascoltarlo ancora e ancora per poter stendere questa recensione, ci convince sempre più di essere il vertice della vita artistica di Lucio Dalla, all'epoca trentaquattrenne.

- Prog Fox

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