lunedì 25 settembre 2017

Love: "Forever changes" (1967)

Il 25 settembre del 1967 venivano completate le incisioni di "Forever changes", classico dimenticato dell'era psichedelica americana.


(disco completo in file unico:https://www.youtube.com/watch?v=VRTKtOZ-ta0 oppure in playlist: https://www.youtube.com/playlist?list=PLRQKT-Cu2_2RC_DluSaeE98vzzN8DRFED)

Capita ogni tanto che, guardandosi indietro a un movimento ormai scomparso da anni, la critica si accorga di avere trascurato qualcosa o qualcuno. A volte quel qualcosa o quel qualcuno è veramente una figura maggiore e indispensabile, pensiamo a Herman Melville, l'autore di "Moby Dick". Altre volte si tratta di figure che furono meritorie e ingiustamente trascurate, ma che la spinta di Archimede della rivalutazione critica sospinge fin troppo oltre il pelo dell'acqua su cui dovrebbero galleggiare, dando loro un risalto troppo grande rispetto al loro valore. Per quanto difficilmente si possa paragonare "Forever Changes" dei Love a "Moby Dick", da parecchi anni ormai la critica dibatte se esso sia uno dei migliori album della Summer of Love oppure solo un disco molto buono ma tutto sommato non all'altezza di certe opere di Jimi Hendrix, Beach Boys, Beatles e via discorrendo.

Fra gli estimatori, gli Stone Roses consideravano "Forever Changes" il più grande disco della storia del rock; e il disco figura regolarmente nelle classifiche dei migliori album di tutti i tempi di riviste prestigiose come Rolling Stone e il New Musical Express. Ma la nostra posizione è decisamente più vicina a chi ritiene che "Forever Changes" sia sì un disco molto buono di una band ingiustamente sottovalutata, ma non oseremmo chiamarlo un capolavoro perduto, anche se ha fascino e presenta numerosi motivi di interesse ed eccezionalità nel panorama del tempo.

Innanzitutto l'uso dell'orchestra come accompagnamento di un disco rock, ancora piuttosto agli albori in quell'epoca. In secondo luogo il fatto che si usi ampiamente una musica semiacustica, con ampio uso di accordi minori e di arrangiamenti sofisticati. In terzo luogo ci sono i toni melliflui e morbidi che appartengono a più di buona metà dei brani. Mentre la psichedelia americana si stava spostando sempre più sull'uso di chitarre violente e distorte (da Jimi Hendrix a Jefferson Airplane e Grateful Dead) e quella inglese era fatta di esperimenti sonori (Beatles e Yardbirds, per fare due nomi), i Love assomigliano più a band come i Moody Blues (anche per l'orchestra, certo, che i Moody stanno usando per incidere in quei giorni "Days of future passed", il loro secondo album e uno di quelli che contribuisce alla nascita del prog rock).

I Love incarnano poi un mood inusuale per la Summer of Love, ovvero il pessimismo intimista, che non solo non appartiene a tutto il jet set degli hippie e della controcultura americana (si sarebbe cambiato il mondo, lo si stava già cambiando, pensavano Hendrix, gli Airplane, i Dead, i Byrds e chi più ne ha e più ne metta) ma nemmeno appartiene alle anime oscure di quel movimento, quelle che ne mettevano in luce le contraddizioni e i lati più oscuri (Velvet Underground, Doors, in un certo senso anche Zappa, che sta per realizzare "We're only in it for the money", satira feroce della controcultura stessa).

L'album è diviso equamente fra ottime canzoni di rock sorretto da una interessante dinamica ritmica (il bassista Ken Forssi e il batterista Michael Stuart) e canzoni melliflue, sospese fra il fiabesco e il malinconico. Le migliori appartengono al primo gruppo, come la canzone di apertura "Alone again or" (https://www.youtube.com/watch?v=_Sv1naCvO2M), composta da uno dei tre chitarristi della band, Bryan MacLean, la rockeggiante "A House is not a Motel" (https://www.youtube.com/watch?v=B1ONFNTWua0) o "Maybe The People Would Be The Times..."; un esempio interessante è "The Daily Planet" (https://www.youtube.com/watch?v=ndJzD-ElGtg), una delle prime canzoni a essere incise, in cui il groove ballabile sorge dall'intesa perfetta fra il batterista Hal Blaine e la bassista Carol Kaye, sessionmen di lusso chiamati a mettere un po' il pepe al culo dei musicisti del gruppo. Per spaventare i suoi colleghi troppo fatti di marijuana ed eroina per riuscire a concentrarsi adeguatamente, il leader Arthur Lee utilizzò questo trucco per mostrare che non si sarebbe limitato a minacciarli di far incidere tutto a musicisti in studio, ma li avrebbe cacciati sul serio. La band, così, si tirò in piedi e riuscì a lavorare seriamente sul disco.

Arthur Lee, abbiamo detto: il fascino di questo personaggio è uno dei motivi per cui i Love sono stati riabilitati. Afroamericano ma inusualmente per nulla influenzato da blues, r&b o soul, né nella composizione né nella voce; amico di Jimi Hendrix, dopo averci suonato insieme capisce che non può in alcun modo competere con lui come chitarrista, e questo influenza le sue scelte musicali più orientate a melodie e arrangiamenti barocchi e arzigogolati ma ben lontani dall'acid rock hendrixiano. Lee purtroppo, come la sua band, entrerà nel vortice dell'eroina, che segnerà la sua salute fisica e mentale ma che lo renderà, pur se meno famoso, un lost boy di culto come Syd Barrett e Nick Drake.

Abbiamo menzionato anche la presenza di canzoni più delicate, come "Andmoreagain", "The Red Telephone" e "The Good Humor Man He Sees Everything Like This", ma sono proprio loro che a nostro parere impediscono al disco di tenere fede alla sua fama di capolavoro, essendo canzoni spesso più melliflue che melodiche e più esangui che delicate; senza contare che spesso l'orchestra peggiora le cose. Diverso è il caso di "Live and let live", che inizia sì come una fiaba folk pop ottimista, ma man mano che procede si increspa fino al finale dominato dalla chitarra selvaggia di Johnny Echols.

L'album si conclude infine coi sette minuti dell'ottima "You set the scene" (https://www.youtube.com/watch?v=4Kh1ZAkozms), composizione epica che sintetizza al meglio le diverse anime che si ritrovano nel disco.

Insomma, se siete dei fan del pop psichedelico, "Forever Changes" non potrà che scaldare il vostro cuore. A nostro parere non raggiunge i livelli di "Sergeant Pepper's", "Aoxomoxoa", o dell'esordio dei Doors, ma rimane sicuramente come uno dei più validi prodotti della Summer of Love.

- Red

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