venerdì 3 marzo 2017

Maxophone: "la fabbrica delle nuvole" (2017)

Dopo 42 anni arriva il seguito di "C'è un paese al mondo", finora unico album dei progger italiani Maxophone.




(il disco completo è disponibile qui:http://www.deezer.com/album/15337453)

La riscoperta del progressive italiano negli anni '90, sicuramente incoraggiata dal successo del prog metal americano (Dream Theater, Fates Warning, Symphony X) nel nostro paese, e le nuove possibilità regalate alla musica di culto e di nicchia dall'esplosione di internet negli anni Zero, hanno permesso a tanti musicisti scomparsi dai radar per decenni di riunire le vecchie formazioni per concerti-evento, tour e dischi, in particolare questi ultimi di livello assai diseguale. I Maxophone, protagonisti di un unico disco nel 1975, sono (attualmente) l'ultima delle vecchie band degli anni Settanta ad avere realizzato un album in studio, sebbene l'idea di inciderlo risalisse già al 2011, quando il cantante originale Alberto Ravasini aveva contattato il poeta Roberto Roversi, noto in particolare per la sua collaborazione con Lucio Dalla nella trilogia "Il giorno aveva cinque teste"-"Anidride Solforosa"-"Automobili", per aiutarlo nella stesura di testi per un nuovo disco. La morte di Roversi nel 2012 aveva posto fine al progetto, che però è stato recuperato anche grazie al supporto degli eredi di Roversi, che hanno messo a disposizione dei Maxophone i testi su cui il padre aveva lavorato.

Nasce così "la Fabbrica delle Nuvole", un disco di progressive nostalgico che si colloca nella media dei prodotti del genere. Pur senza essere un capolavoro assoluto, risulta un album di piacevole ascolto, che avrebbe beneficiato di un po' di languore in meno ("Il passo delle ore", con il suo ritornello corrivo; "Estate '41", che ricorda un po' "Fragile" di Sting) e di un po' di nostalgia in meno ("Perdo il colore blu" che cita direttamente "Elzeviro" dal loro vecchio album). 


Molto buono lo strumentale "la Fabbrica delle Nuvole" che dà il titolo al disco, sospeso fra jazz rock, citazioni classiche e momenti che ricordano Gentle Giant ed Echolyn, mostrando una band capace anche di farsi ispirare da opere più contemporanee; molto buono il brano di apertura "Un ciclone sul Pacifico"; molto buona "La luna e la lepre", soprattutto nelle sue armonie vocali impreziosite dal superbo violino del batterista Carlo Monti; buone la lunghe sezioni strumentali de "Il matto e l'aquilone"; e commovente il finale di "Le parole che non vi ho detto", due brevi minuti a concludere l'album con la speranza che sia solo un arrivederci, e che la band possa migliorarsi ulteriormente dopo avere ritrovato la vena compositiva dopo oltre quarant'anni. 

Sebbene non sia un disco perfetto, gli appassionati di spaghetti prog hanno il diritto di chiedere un bis.

- Prog Fox

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