venerdì 7 aprile 2017

Ulver: "The Assassination of Julius Caesar" (2017)

Una delle migliori e più imprevedibili delle band uscite dalla seconda generazione del black metal norvegese, gli Ulver arrivano con "The Assassination of Julius Caesar" al traguardo dell'undicesimo album in studio dopo oltre vent'anni di onoratissima carriera.




(disco completo qua: https://www.youtube.com/watch?v=FPewKGoPhHA)

Questa volta, Kristoffer Rygg (voce), Tore Ylvisaker (tastiere/elettronica), Ole Alexander Halstensgård (tastiere/elettronica) e Jørn Henrik Sværen (polistrumentista) decidono di realizzare un album che potrebbe tranquillamente essere uscito negli anni ottanta, ovvero un album di synth pop piuttosto radicale, che ha più in comune con Depeche Mode e A-Ha che non col passato black della band. Anzi, col passato black o metal della band non ha veramente nulla di nulla in comune, nemmeno alla lontana, mentre appena alla lontana sono i rapporti con gli ultimi due lavori del gruppo, "ATGCLVLSSCAP" e "Riverhead", entrambi dischi di post rock sperimentale e di atmosfera che concedevano poco e nulla al pop e alla melodia. Che shock.

I quattro sono supportati da un cast di amici e collaboratori fra i quali i "soliti" Håvard Jørgensen e Daniel O'Sullivan alle chitarre, Ivar Thormodsæter alla batteria, e i "nuovi" Stian Westerhus alle chitarre, Anders Møller alle percussioni, Nik Turner (storico membro degli Hawkwind) e Dag Stiberg al sax.

Il synth pop degli Ulver è naturalmente cupo e pastoso, che piacerà probabilmente ai fan di band come i Depeche Mode in primis. "Nemoralia", il brano di apertura, è forse il migliore dell'album, con un testo al solito disturbante che mescola la celebrazione di Diana Nemorense nell'antica Roma, l'incendio di Roma da parte di Nerone, il martirio dei santi Pietro e Paolo, la morte della Principessa Diana; musicalmente interessante "Rolling Stone", che però non giustifica la propria lunghezza (nove minuti sono troppi). Niente male anche la successiva "So falls the world", soprattutto nelle parti strumentali; in generale, la voce baritonale di Rygg fa davvero impressione se si pensa che questo era lo stesso matto urlante che dominava i primi album degli Arcturus.

Nel suo prosieguo, l'album abbandona i momenti più cupi e ospita una serie di brani che si avvicinano di più al synth pop degli A-Ha, con un canto in tonalità più alte e una musica leggermente più uptempo. Il capolavoro di questo stile più 'commerciale', per quanto sia una parola grossa anche in questo contesto, è la fantastica "Angelus Novus", con il ritornello col controcanto che si eleva magistralmente su un mare di elettronica ribollente. Meno riuscite forse "Southern Gothic" e la pur gradevole "Transverberation", che si vanta di menzionare nel testo l'attentato a Papa Giovanni Paolo II (13 maggio 1981); mentre la successiva, buona "1969" è zeppa di citazioni, da "Rosemary's Baby", il film di Polanski, e alla Chiesa di Satana di Anton LaVey (di cui dà l'indirizzo: 6114 California Street, a San Francisco, dove ebbe la sede dal 1966 alla morte del suo fondatore nel 1997), a "Let it be" dei Beatles e poi a un singolo riferimento che contiene tutti i precedenti, ovvero "Helter Skelter" (sia la visione apocalittica che Manson sostenne di avere prima dell'omicidio di Sharon Tate, moglie di Polanski, nel 1969, sia la canzone di Paul McCartney che a suo dire la ispirava). Conclude il disco "Coming home", che cerca di compiere una sintesi fra i momenti più cupi e quelli più melodici, senza riuscirci particolarmente bene.

Pur essendo assolutamente dignitoso, "The Assassination of Julius Caesar" soffre un po' di monotonia - se dovesse rimanere un unicuum della loro produzione allora sarebbe uno scherzo ben riuscito e poco più. Se invece Rygg e soci ne trarranno spunto per nuove evoluzioni, potrebbe essere il principio di un ben più significativo capitolo creativo della sorprendente carriera dei norvegesi.

- Prog Fox

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